Articolo di Raffaella Di Marzio
Londra, 25 Marzo 2017
*Si ringrazia l'Imam Ataul Wasih Tariq per gli utili suggerimenti
Partecipare al simposio nazionale della pace organizzato da Ahmadiyya a Londra, al quale partecipano delegati provenienti da tutto il mondo, significa immergersi in una comunità di persone la cui esistenza è fortemente caratterizzata da una profonda spiritualità che investe ogni aspetto della vita quotidiana.
Una simile esperienza si può fare in molte comunità spirituali o religiose che vivono all’interno di società non sempre accoglienti nei loro riguardi, e talvolta perfino ostili, in modo più o meno accentuato.
In queste comunità l’ostracismo, la discriminazione e la persecuzione rafforzano, nei singoli membri, il senso di attaccamento ai propri valori e la determinazione a impegnarsi ancora di più nella protezione dei pilastri della dottrina, del culto e dell’etica. Non si tratta, tuttavia, di una reazione solo difensiva, di fronte all’attacco, finalizzata ad assicurare la sopravvivenza della propria identità spirituale o religiosa.
Piuttosto, quando si entra in relazione con i membri di queste comunità ostracizzate dalla cultura mainstream, si può constatare come la fede in Dio rappresenti per loro molto più di una credenza o un insieme di riti e regole: si tratta invece di una convinzione tanto profonda da trasformare integralmente la loro esistenza. Tale convinzione non va semplicemente difesa, ma promossa e proposta anche ad altri, senza sotterfugi o ambiguità. Questo intento si concretizza in forme di attivismo sociale di vario genere che mirano a dimostrare, proprio a quella società che li esclude, come colui che viene escluso sia, al contrario, in grado di includere e accettare l’altro, anche se quest’ultimo non vuole esserlo.
Farsi conoscere, utilizzare le proprie risorse e strutture per favorire l’incontro con altre fedi e forme di aggregazione, autofinanziarsi per acquistare attrezzature multimediali all’avanguardia e realizzare grandi opere, come imponenti luoghi di culto, sono strategie che questi gruppi religiosi scelgono per rispondere all’esclusione, alla discriminazione e alla persecuzione.
Durante i momenti di incontro con esponenti della comunità e altre persone invitate, prima e dopo l’evento, ho avuto l’occasione di ascoltare alcune testimonianze e di scambiare idee ed esperienze che ho trovato particolarmente significative.
Un’esperienza toccante è stata ascoltare il racconto che un membro della comunità mi ha fatto del martirio di suo nonno. Il tono del narratore era pacato e l’atteggiamento lasciava trapelare, nonostante il tragico epilogo della vicenda, un senso di speranza e consapevolezza, poiché l’esito doloroso di quella persecuzione significa per lui che la vittima ha dato testimonianza di una fede grande, che suscita ammirazione perchè segno perenne di obbedienza verso il proprio Dio. Nel corso del racconto non è mai emerso il desiderio di rivalsa o un sentimento di rancore verso gli assassini.
Tale atteggiamento si può comprendere solo nel contesto religioso non violento tipico della comunità Ahmadiyya, nel quale all’assassinio dei propri fratelli nella fede si risponde con la preghiera. Il proprio corpo, può essere usato come “scudo umano” in caso di attacco al proprio Califfo e l'uso delle armi da fuoco è evitato ogni volta che è possibile farlo, anche se in alcune situazioni particolari, come in Pakistan, è possibile portare armi a scopo difensivo. Questa logica si fonda sulla convinzione che rispondere alla violenza con la violenza significa condividere gli stessi intenti del proprio aggressore, e quindi non è consentito farlo.
Subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle la comunità Ahmadiyya di tutto il mondo (diffusa in 207 paesi con circa 70 milioni di fedeli) si è chiesta cosa poteva fare per dare testimonianza di solidarietà alle vittime. Lo ha spiegato l’Imam della comunità italiana, Tariq Ataul Wasih, nel corso di un dibattito alla Camera dei Deputati nel corso di un convegno tenutosi il 22 marzo 2017: “poiché alcuni 'cosiddetti' musulmani hanno tolto la vita a migliaia di persone, la comunità degli Stati Uniti si è impegnata a donare il sangue per salvare la vita di un americano. La comunità ha raccolto migliaia di sacche di sangue e le ha donate agli ospedali degli Stati Uniti perché, attraverso il loro sangue (la loro vita) si potesse pagare il sangue degli americani uccisi da altri "cosiddetti" musulmani. Se i terroristi hanno preso le vite di 3000 americani noi, poiché ogni sacca può salvare la vita di 3 americani, restituiamo dieci volte tanto”. Nel 2011 gli Ahmadiyya sono riusciti a raccogliere più di 10.000 litri di sangue per salvare la vita di 30.000 americani. In quell'anno ha avuto inizio la campagna "Muslims for Life".
La comunità Ahmadiyya viene discriminata e perseguitata in Pakistan, Algeria e altrove, poiché nasce da un’esperienza spirituale che il fondatore definito dai suoi fedeli "riformatore dell’Islam", Hazrat Mirza Ghulam Ahmad (1835 - 1908), ha fatto nel 1899 a Qadian, una cittadina nel Punjab indiano. I membri di Ahmadiyya credono che egli abbia ricevuto delle rivelazioni profetiche che si pongono su una linea dottrinale e morale difforme dalle altre correnti sia sunnite che sciite. L’accusa di eresia colpisce gli Ahmadiyya anche in contesti meno ostili come quelli europei, e si manifesta con un ostracismo evidente da parte degli altri musulmani che talora può dividere anche le famiglie.
A queste forme di esclusione la comunità Ahmadiyya risponde impegnandosi in tutto il mondo, con i suoi circa 70 milioni di membri, a realizzare opere sociali destinate a tutti i bisognosi, senza distinzione di razza, religione e nazionalità, per portare l’acqua corrente o le coltivazioni indispensabili per la sopravvivenza nei luoghi più poveri del mondo, oppure mettendo a disposizione le cure omeopatiche gratuite a coloro che sono troppo poveri per acquistare le medicine.
Anche se l'obbligo di velarsi, per le donne, rimane un comando di Mohamed e dovrebbe essere seguito, esso riguarda le donne e spetta a loro la decisione di obbedire o meno a Dio. Gli uomini, secondo le disposizione del Califfo Hazrat Mirza Masroor, non hanno alcun diritto di obbligarle. Inoltre, il velo non è richiesto alle donne non musulmane che entrano nella moschea. Si richiede solo di togliere le scarpe.
Il simposio per la pace è stato organizzato grazie al lavoro volontario di centinaia di giovani ahmadiyya, la maggior parte giovanissimi, la cui presenza si avvertiva in ogni angolo dell’edificio, discreta e vigile. Tra essi non ho visto nessuna donna, neanche tra gli addetti al servizio ai tavoli. Questa “assenza” dei volti femminili della comunità può forse essere interpretata, come una strategia “protettiva” verso le donne e la loro “sacralità”, la stessa ragione per cui non è consono che un membro della comunità dia la mano ad una donna e viceversa, come comunemente si fa in occidente in segno di saluto. Tuttavia, la "sacralità" femminile non toglie nulla alle aspirazioni delle donne della comunità, che possono liberamente dedicarsi allo studio, anche se sposate e con figli, come ho avuto modo di verificare dopo aver conosciuto una di loro. Le donne della comunità erano presenti all'evento, compresa la moglie del Califfo e la presidente nazionale della Comunità in Inghilterra, ed hanno seguito l'evento grazie a un grande schermo.
La prospettiva dialogica della dottrina Ahmadiyya risulta evidente anche se si guarda agli studi che i giovani devono completare per diventare Imam. Oltre allo studio approfondito della Bibbia, solo per fare un esempio, un Imam, che è entrato in contatto con alcuni membri della Soka Gakkai, mi ha riferito di aver iniziato a leggere il Sutra del Loto, poichè anche nei testi sacri delle altre religioni possono essere presenti verità valide per tutti: Dio può suscitare un profeta anche in altre religioni. In questa ottica si comprende meglio l’impegno di tutta la comunità per il dialogo interreligioso e la collaborazione fattiva con organizzazioni della società civile di diverso orientamento.
Nella comunità il rapporto tra gli Imam e il Califfo è stretto e profondo, poiché il Califfo è particolarmente vicino a Dio, che lo ispira, e può anche fargli il dono della profezia. A questo proposito appaiono particolarmente significative le parole incise sulla facciata della Moschea Ahmadiyya più antica di Londra, costruita nel 1924, nelle quali si legge che Dio farà di quel luogo il centro di irradiazione dei valori di “purezza pietà giustizia e amore” e un “sole di luce spirituale che illuminerà ovunque questa nazione e tutte le nazioni del mondo”. Queste parole rappresentano per la comunità una profezia che si è avverata, e una prova ne è il fatto che proprio da quella moschea sono iniziate le prime trasmissioni satellitari che hanno diffuso il credo ahmadiyya in tutto il mondo attraverso “il cielo”, proprio come dice la profezia.
E’ così che i fedeli guardano al loro fondatore Mirza Ghulam Ahmad (1835-1908) e ai suoi successori fino all’attuale califfo, Mirza Masroor Ahmad, di fronte al quale mostrano una venerazione profonda, chiaramente percepibile anche dall’osservatore meno attento.
Il Califfo riceve tutte le delegazioni presenti al simposio per la pace di Londra, al quale partecipano circa 1000 persone provenienti da tutto il mondo. Si tratta di persone impegnate in ampi settori della politica, della comunicazione, dell’istruzione, del volontariato, del mondo accademico, delle forze dell’ordine, e rappresentanti di altre religioni.
Quest’anno, nel corso dell’udienza della delegazione italiana, composta da una decina di persone, tra cui la sottoscritta, il Califfo si è informato, chiedendo personalmente a ciascuno dei presenti, quale tipo di attività svolge e, per ciascuno, ha speso qualche parola di riflessione, e ha commentato, rivolgendosi soprattutto ai giornalisti presenti, le problematiche relative all’immagine che l’opinione pubblica ha dell’Islam e, in particolare, alla funzione dei media nel diffondere tale immagine distorta.
Rientrando dal simposio londinese ho portato con me il ricordo di una comunità musulmana “sui generis” che porta in sè tutti gli anticorpi necessari per prevenire l’insorgenza di forme di fanatismo e fondamentalismo alla base di episodi di violenza e terrore di cui siamo purtroppo troppo spesso testimoni.